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Categoria: Il Parroco dice...
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Pubblicato: Mercoledì, 01 Febbraio 2017 10:55
Cari amici sono alla vigilia di una partenza. Domani sarò a Bologna per qualche giorno, per partecipare al convegno nazionale di pastorale giovanile che porta il titolo di “la cura e l’attesa”. Mi aspetto di capire e condividere ciò che il convegno si ripropone: costruire il profilo e le competenze dei buoni educatori; come deve essere un ‘buon’ educatore? Un adulto in grado di stare accanto ai ragazzi con la consapevolezza e la preparazione del caso, perché è attorno alla sua preparazione che si gioca l’emergenza educativa”. Spero di tornare arricchito e di arricchire a mia volta coloro che hanno cura dei nostri giovani.
Ma non è questa la partenza di quel viaggio di cui alludevo nel titolo. Il viaggio che già dal V secolo i cristiani compivano, prende il nome dalla durata del viaggio, quaranta giorni, da cui “quaresima”. Nel nostro tempo la Chiesa ci fa iniziare questo viaggio con il “mercoledì delle ceneri” e ce lo fa terminare il giovedì santo con la celebrazione “nella cena del Signore”, in cui viene rievocato la lavanda dei piedi fatta da Gesù nell’ultima cena. La Chiesa poi ci lascia sulla soglia per poi aprirci la porta al mistero della Pasqua. Prenderemo come riferimento i quaranta giorni di Gesù trascorsi nel deserto tra le tre grandi tentazioni che sentiremo nel vangelo della I domenica di quaresima. In questo viaggio scandito da sei domeniche in cui riceveremo in parte brani tratti dal vangelo di Matteo e parte da quello di Giovanni. Un cammino a tappe a carattere battesimale, ciò significa che avremo l’opportunità di ritornare alle radici della nostra fede, il nostro battesimo, che anche in età adulta non ha del tutto trasformato la nostra vita e non ha del tutto portato i suoi frutti. Passeremo dal deserto di Giuda delle tentazioni; al Tabor, monte della trasfigurazione; a Sicar, al pozzo con la samaritana; alle vie di Gerusalemme con il cieco nato; a Betania, alla tomba di Lazzaro e infine per le strade di Gerusalemme ad agitare con gioia i nostri rami a Gesù che cavalca un asinello. Vi ho fatto conoscere il percorso e questo potrebbe far diventare il tutto scontato e senza sorprese e come se vi facessi conoscere la trama del film di cui state guardando la replica togliendovi il gusto e la sorpresa. Non è proprio così! Perché questo viaggio è diverso! Questo viaggio lo compie chi lo fa nonostante le tappe siano note. E’ un viaggio! Non è il percorso la parte più importante, ma il mio coinvolgimento, le mie reazioni, ciò che succede dentro di me. Italo Calvino diceva: “Il camminare presuppone che a ogni passo il mondo cambi in qualche suo aspetto e pure che qualcosa cambi in noi”. Un altro grande della letteratura latina ci ricorda: “A che 3 serve viaggiare se tu porti te stesso con te? Bisogna cambiare di anima, non di aria” (Sallustio, Lettere a Lucilio). Allora attendo e spero sin d’ora che questo viaggio ci faccia non turisti o visitatori ma pellegrini. Ho accennato a dei luoghi geografici, ma per chi vorrà compiere un cammino spirituale sono anche luoghi e condizioni interiori, spazi di crescita e di rinascita, occasioni dove ci potremmo incontrare con Dio e con noi stessi. Il deserto potrebbe rimandare al proprio vuoto esistenziale che non può essere accettato e riempito se non accogliendo la parola di Dio. Il monte potrebbe metterci in condizione accorciare le distanze tra me e Dio attraverso la meraviglia. Il pozzo di Sicar potrebbe far emergere e riconoscere le nostre seti e la ricerca del senso delle cose e della vita. Il buio e la cecità ci potrebbe far rendere conto delle stoltezze e delle resistenze nell’accogliere ciò che è vero, oppure rimandarci alle fragilità che ciascuno di noi nasconde e che andrebbero portate alla luce. Betania il luogo dell’amicizia sincera che già fa intravvedere la vittoria sulla morte che ci tiene legati e prigionieri. Gerusalemme luogo contraddittorio: trionfo che introduce alla morte e patibolo che nasconde la vittoria.
Compiuto questo pellegrinaggio potremo varcare la soglia e vivere il santo triduo pasquale e celebrarlo in pienezza.
Il primo giorno di questo viaggio non dimentichiamo che ci saranno consegnati con le ceneri tre strumenti preziosi: digiuno, preghiera e carità. Strumenti che da sempre la Chiesa ha affidato ai suoi figli che saranno tanto efficaci quanto coinvolgeranno il cuore non rivestendoli di automatismi e non facendole diventare delle pratiche vuote e non di rado ipocrite.
Nel augurare a me e a voi un buon cammino di quaresima vi affido un breve racconto. Nel mio essere un internauta a singhiozzo mi sono imbattuto in ciò che il rabbino Abraham Joshua Twersky dice a proposito di come cresce l’aragosta:
“L’aragosta è un animale morbido e soffice che vive dentro un rigido guscio che non si espande mai. E come fa l’aragosta a crescere? Mentre questa cresce, il guscio diventa sempre più stretto e scomodo, tanto che l’aragosta non può fare altro che liberarsene. Sentendosi sempre più sotto pressione e a disagio, va quindi a nascondersi tra le rocce. Lì, più vulnerabile che mai, lascia andare il vecchio guscio e si adopera per crearne uno nuovo che possa adeguarsi alle sue necessità. Ad un certo punto, continuando a crescere, anche questo guscio diventa stretto e scomodo. Allora, torna sotto alla sua roccia e ripete il processo, ancora e ancora. Lo stimolo che rende possibile la crescita dell’aragosta è la scomodità, il disagio, il dolore. Se l’aragosta potesse fare come facciamo noi, si limiterebbe a cercare una soluzione immediata: una distrazione che possa far sparire il disagio e che la illuda di aver risolto il problema senza averlo realmente affrontato; e così facendo, non si libererebbe mai di quello che non va più bene per lei. Quello che dobbiamo capire è che i momenti di stress sono segnali che ci suggeriscono che è tempo di cambiare e che se usiamo le avversità a nostro favore, possiamo anche noi imparare a crescere attraverso di esse”.
Mi auguro che questo racconto diventi una metafora che ci metta in cammino con il desiderio di rinascere. Se sentiamo disagio, sofferenze, ferite, peccato e… potrebbe essere arrivato il tempo di riscrivere la nostra storia, lasciarci raggiungere dalla misericordia e dall’amore di Dio.
Buon cammino di Quaresima
padre Emanuele
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Pubblicato: Martedì, 15 Marzo 2016 09:00
Cari amici,
con l’inizio della quaresima è iniziato per voi e per noi sacerdoti la visita e la benedizione delle vostre famiglie e delle vostre case. Vi confesso l’iniziale sbandamento causato soprattutto dalla poca conoscenza delle strade e dei luoghi, i quali venivano indicati con precisione giorno per giorno nel calendario, lo stesso da molti anni e ben conosciuto dai miei confratelli sacerdoti.
Questa sensazione di essere un po’ spaesato ben presto è stata superata dalla vostra accoglienza che si è manifestata dall’uscio di casa, con un “prego padre si accomodi”, fino al tavolo in cucina o in soggiorno, preparato con cioccolatini, dolcetti, bevande e persino del vinsanto e accanto a tutto l’immancabile busta dell’offerta per la parrocchia e per il giornalino.
Rotto il ghiaccio ci siamo intrattenuti brevemente parlando del più e del meno, ma a volte in quei pochi minuti mi avete affidato pezzi della vostra vita e della vostra storia, spesso dolorosi come ferite ancora aperte e non solo anche gioie e soddisfazione soprattutto quando pronunciavate “il mi’ figliolo…”, “la mi’ figliola …”. Il modo di dirlo alla castiglionese con la cadenza dolce che sembra una carezza, accompagnata dalla fierezza e dall’orgoglio di chi con sacrificio e impegno li ha tirati su e fatti crescere.
Man mano che sono trascorsi i giorni e le visite aumentavano, il contatto con le varie situazioni mi convincevo quanto tutto questo mi arricchiva in conoscenza dell’ambiente e mi coinvolgeva nelle vostre vite. Tutto ciò sembrava confermare un’espressone del papa rivolta ai sacerdoti che li invita a portare “l’odore delle pecore”. Quest’espressione Papa Francesco l’ha usata nell’omelia della messa crismale il giovedì Santo del 2013 e che or ora sono andato a ricercare e riprendere. Rileggendo poi tutto il testo dell’omelia trovo anche il lungo riferimento sul senso dell’unzione e pertanto non riesco a fare a meno di riportarvi uno stralcio: « ... Il sacerdote che esce poco da sé, che unge poco - non dico “niente” perché, grazie a Dio, la gente ci ruba l’unzione - si perde il meglio del nostro popolo, quello che è capace di attivare la parte più profonda del suo cuore presbiterale. Chi non esce da sé, invece di essere mediatore, diventa a poco a poco un intermediario, un gestore. Tutti conosciamo la differenza: l’intermediario e il gestore “hanno già la loro paga” e siccome non mettono in gioco la propria pelle e il proprio cuore, non ricevono un ringraziamento affettuoso, che nasce dal cuore. Da qui deriva precisamente l’insoddisfazione di alcuni, che finiscono per essere tristi, preti tristi, e trasformati in una sorta di collezionisti di antichità oppure di novità, invece di essere pastori con “l’odore delle pecore” - questo io vi chiedo: siate pastori con “l’odore delle pecore”, che si senta quello -; invece di essere pastori in mezzo al proprio gregge e pescatori di uomini. È vero che la cosiddetta crisi di identità sacerdotale ci minaccia tutti e si somma ad una crisi di civiltà; però, se sappiamo infrangere la sua onda, noi potremo prendere il largo nel nome del Signore e gettare le reti. È bene che la realtà stessa ci porti ad andare là dove ciò che siamo per grazia appare chiaramente come pura grazia, in questo mare del mondo attuale dove vale solo l’unzione - e non la funzione -, e risultano feconde le reti gettate unicamente nel nome di Colui del quale noi ci siamo fidati: Gesù...»
Manco a farla apposta avete, come me, notato l’espressione “gettare le reti” che fa legare, quasi con sorpresa, in una sorta di continuità questa lettera a quella dello scorso numero del foglio.
Il Foglio pag.4 Visitando le vostre case ho sentito anche il “profumo di Cristo” ho sentito anche l’unzione di chi prima di me vi ha dato. Di chi ha reso presente Cristo nelle vostre vite. E spero che il mio essere in mezzo a voi mi faccia continuare questa unzione e questa cura.
A proposito di odore, di profumo e di fragranza, poco tempo fa mi sono imbattuto in una piccola storia che credo possa essere una metafora che ci aiuta a vivere la Pasqua ormai imminente.
La storia è di ”una ragazza che and da sua madre e le disse che la sua vita era cosi difficile che non sapeva se sarebbe ancora valsa la pena continuare a viverla. Desiderava abbandonare, era stanca di combattere. Le sembrava che, non appena risolveva un problema subito un altro si affacciasse.
La madre la condusse in cucina. Riempi tre pentole di acqua e le mise sul fornello a fuoco alto. en presto l’acqua comincio a bollire. Nella prima pentola mise delle carote, nella seconda delle uova e nella terza dei grani di caffe . ascio bollire il tutto per alcuni minuti senza dire nulla... Passato il tempo torno in cucina e mise su un piatto le carote, su un altro le uova e verso il caffe in una tazza. Rivolgendosi alla figlia le chiese: “Dimmi, cosa vedi ” Carote, uova e del caffe ”, rispose la figlia. a donna invito la ragazza a toccare le carote. a figlia noto che erano molli.
La madre, allora, le porse le uova. La ragazza tolse un pezzetto del guscio e vide che l’uovo era diventato duro. Alla fine la madre la invito a gustare il caffe . a figlia sorrise inalando il ricco aroma del caffe . a figlia allora domando : ”Che cosa mi hai voluto dire, mamma?”
Sua madre le spiego che ogni oggetto ha dovuto fare i conti con l’acqua bollente, ma ognuno ha reagito in modo differente.
La carota, in origine, era dura e solida. Dopo essere passata nell’acqua bollente, si e rammollita ed e diventata friabile.
L’uovo era fragile ed aveva l’interno liquido. Dopo essere passato nell’acqua, il suo interno e divenuto duro.
I grani di caffe hanno reagito in modo unico. Dopo essere stati nell’acqua bollente, hanno cambiato l’acqua! “Chi sei tu ” domando la madre a sua figlia. “Quando le avversità bussano alla tua porta, come rispondi? Sei una carota, un uovo o un grano di caffe ? Ci hai pensato?
“Sei come la carota che sembra forte, ma nel dolore e nelle avversità diventa molle e perde la sua forza? Sei come un uovo, che ha il cuore tenero e malleabile, ma cambia con i problemi? Hai uno spirito flessibile che nelle avversità diventa duro ed inflessibile?
O sei come un grano di caffe Il grano cambia l’acqua, cambia la fonte del suo dolore. Non appena l’acqua diventa calda rilascia la sua fragranza, il suo profumo ed il suo sapore. Se sei come il grano di caffe , diventerai migliore e, quando le cose volgono al peggio, cambierai il mondo intorno a te.“
Questa storia mi ha fatto pensare a molte persone compreso me stesso e di come il dolore e la sofferenza ci toccano tutti e l’incontro con Gesù nella sua Pasqua ci aiuta a capire il senso della sofferenza e a redimerla. Gesù sulla croce con la sua obbedienza al padre e il dono della sua vita ha cambiato l’umanità proprio come i chicchi del caffe della storia e ogni volta che ci incontriamo con lui morto e risorto scopriamo di essere amati sopra ogni cosa e che la nostra vita profuma di lui e il mondo attorno a noi cambia e si rinnova.
Penso allora di salutarvi con la preghiera più di frequente è affiorata dal cuore sulle labbra nel visitarvi. Possa il Signore Gesù condurci verso la sua Pasqua facendoci sperimentare la misericordia del Padre, rinnovare le ragioni della speranza e donarci la sua pace.
Buona e Santa Pasqua a tutti
p. Emanuele